Peccioli all’inizio degli anni Novanta si presenta come un cantiere a cielo aperto in cui sperimentare un nuovo rapporto tra arte e progetto urbano, cercando di unire a una straordinaria vocazione di intervento su tutti i settori non solo la ricerca dell’innovazione, ma anche il potenziale simbolico e immaginativo dell’arte contemporanea. Primo attore di questa performance realizzativa: l’amministrazione pubblica. Obiettivo dichiarato: la ricerca di una possibile cultura dell’abitare o l’ancoraggio a un nuovo contesto locale. Un target non fatto dal pubblico dell’arte, ma dagli abitanti, dai turisti.
Nel tempo si sono succeduti curatori, artisti, una pluralità di progetti, differenti pratiche operative, ma tutto secondo una strategia unitaria e condivisa ben oltre la singola opera, scendendo nelle strade, invadendo lo spazio urbano, creando servizi per gli utenti e raccontando un luogo e i suoi abitanti.
I progetti di arte pubblica disseminati nel territorio finiscono infatti per evidenziare una propria topografia secondo una triplice scala di intervento: paesaggistica, urbana, architettonica.

Quella che è stata realizzata a Peccioli è un’operazione basata sull’idea di invitare gli artisti a confrontarsi con luoghi, storie, paesaggi, per opere che tenessero conto di tale contesto, mettendo in discussione la separazione strutturale tra produzione e ricezione e prendendo in considerazione lo sfondo simbolico a cui il cittadino appartiene. Il cittadino, pertanto, diventa sia fonte che indirettamente ispira il lavoro artistico, sia soggetto attivo attraverso il processo di apprendimento di una rappresentazione e di un contenuto simbolico che lo coinvolge e lo riguarda da vicino.

Specie di spazi (1991-1992)
L’esordio avviene nel 1991 con Specie di spazi, un’iniziativa a cura di Rita Selvaggio. Agli artisti chiamati a operare a Peccioli, Vittorio Messina, Vittorio Corsini e Hidetoshi Nagasawa, è stato chiesto di tener conto dell’impatto sociale dell’operazione, confrontarsi con i luoghi e i paesaggi, per creare opere coerenti con il contesto. L’artista è una figura che non crea indipendentemente dal luogo finale in cui il suo lavoro verrà collocato e dai fruitori. Il cittadino diventa fonte che ispira il lavoro artistico e soggetto attivo di apprendimento del contenuto.
Per la curatrice “Sta qui il contributo più cruciale e innovativo degli interventi di Peccioli. Per riepilogare, fino oggi l’arte e le città si sono incontrate poco, e quando è accaduto si è trattato spesso di rapporti esteriori rispetto al contesto urbano vissuto. Le amministrazioni talvolta sponsorizzano mostre e investono in arte, curano molti loro prodotti ed oggetti, e scelgono prestigiose ed amene sedi di rappresentanza. Ma queste scelte vengono effettuate in modo casuale e indifferente quanto l’effetto di tale dimensione estetica sulla vita e sull’identità della città. L’idea proposta e sperimentata a Peccioli, è quella di accostare l’arte non solo alla dimensione “esterna” della città ma anche a quella “interna”, analizzando l’effetto che l’arte può avere sulla vita quotidiana dei cittadini. L’arte dentro la vita e la storia dei cittadini, dunque… Sul piano metodologico quello di Peccioli appare un intervento importante poiché ci obbliga a modificare il modo di pensare lo sviluppo sociale e culturale…”.

Da allora sono più di sessanta le opere che si sono aggiunte nel corso di questi trenta anni e che rendono di fatto Peccioli un museo a cielo aperto.

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