La storia era tanto particolare da meritare sicuramente un’occhiata. Soprattutto gli uomini, cresciuti nelle poche case circostanti, raccontavano che quando erano piccoli erano soliti giocare nel boschetto sul colle e, frequentemente, trovavano dei teschi.
Quindi si decise di procedere con un primo sopralluogo, che inizialmente non dette alcun riscontro positivo.
Tant’è che i partecipanti alla ricognizione decisero, ovviamente dispiaciuti, di lasciare il colle.
Proprio nel momento della discesa però, uno di loro si voltò e intravide due o tre pietre che spuntavano da terra.
Decisero di avvicinarsi e scavare attorno rapidamente confermando la presenza di pietre significative.

In alcuni documenti consultati è arrivata la conferma relativa alla presenza, proprio su quel piccolo colle, di una chiesetta intitolata a Santa Mustiola.
Essendo questo colle denominato “Mustarola”, viene formulata una prima ipotesi: forse, le pietre individuate componevano il muro della chiesa, sebbene fosse poco compatibile con l’ubicazione (troppo bassa rispetto alla sommità del colle).
Più lo scavo si allarga e si approfondisce, più appare chiaro agli archeologi che sono di fronte ad un muro realizzato con tecniche costruttive diverse. La prima parte è un rifacimento posteriore, con pietre di misura e colore diverso, con tanta calce; mentre quelle inferiori sono più omogenee e dritte.
Non restava che procedere nell’altro senso, per valutarne lo spessore. Scavando verso l’interno del colle emerge un pavimento, dalla caratteristica decisamente intrigante. Si trattava senza ombra di dubbio di un pavimento di cocciopesto, un conglomerato di malta, pietre e mattoni sbriciolati, tipica costruzione che i romani usavano come impermeabilizzante nelle vasche e nelle piscine.
Lo scavo prosegue con rinnovato entusiasmo verso la collina e viene trovata una concentrazione altissima di ceramica.
Materiale non medievale, ma quasi esclusivamente databile tra V e VII secolo.
La ceramica è molto utile per la datazione e la collocazione geografica, se si ha l’abilità e la fortuna di trovare dei confronti puntuali. In questo caso il confronto è avvenuto con una brocchetta denominata “orciolo” di produzione fiesolana, che presenta una incisione e una colorazione peculiari, tipici delle officine longobarde presenti a Fiesole e ampiamente documentate dai ritrovamenti archeologici.
Questo elemento fornisce quindi una certezza: qua sul colle era presente un insediamento longobardo.


Evidentemente, chi occupava il colle, aveva usato la cisterna romana come se fosse un cassonetto della spazzatura. Infatti, assieme ai numerosissimi reperti ceramici, sono stati rinvenuti anche i resti dei pasti, con ossa macellate.
Procedendo con accuratezza nel lavoro di pulizia della cisterna, viene alla luce il muro perimetrale della cisterna con due angolari conservati.
Il muro, trovato con un po’ di fortuna il giorno del primo sopralluogo, forse serviva come sostegno del terreno ma anche come fronte-scena delle acque.
Una cisterna romana qui, in aperta campagna, caso unico al di fuori delle città, confermava l’importanza in ambito commerciale della strada; una conferma rafforzata dal ritrovamento dei resti di anfore provenienti da tutto il bacino del mediterraneo, sintomo di un’elevata importanza economica e sociale di coloro che qui abitavano.


Il colle Mustarola, così piccolo e così lontano dai luoghi centrali della storia, regala un’altra sorpresa. Uno dei ritrovamenti è una ceramica da mensa, da pasto, estremamente particolare, dalla forma chiusa. Si tratta di una produzione denominata “terra sigillata”, di produzione tunisina, con un beccuccio versatoio, raramente ritrovata nei contesti archeologici italiani, che quindi conferma l’alto livello socio-economico del sito.Caduto l’Impero Romano e quindi venendo a mancare le difese che fino ad allora avevano protetto i territori dell’impero, a Peccioli arrivano i Longobardi e qua, sul colle, viene costruito un piccolo appostamento militare. La strada, analizzata dal punto di vista archeologico, sembra disegnare un confine tra i possedimenti bizantini, e quindi Volterra, e il territorio longobardo pertinente al Ducato Lucchese.
Nei secoli successivi, sopra ai resti dell’appostamento militare, è stata costruita la chiesa.
Le poche persone che in epoca longobarda erano destinate al colle, dovevano aver buttato tutti gli scarti della permanenza, come detto, nella cisterna romana.
Con la fine della dominazione longobarda nell’VIII secolo, le tracce archeologiche si esauriscono: il “mistero” dei trecento anni di “buio” si inserisce qua.
Improvvisamente, nei primi dell’anno Mille, le fonti scritte indicano che qua esiste già una cassina, in una località chiamata Santa Mustiola.
Quindi un qualcosa di consacrato, che faceva capo all’abbazia di Sesto di Lucca.
È proprio il nome Mustiola, santa venerata a Chiusi (l’altro ducato longobardo della Toscana), che fa supporre che i longobardi potessero aver realizzato qua un piccolo altare, ripreso ed ampliato poi nel medioevo.
La cassina si è trasformata in piccola chiesa, lunga una quindicina di metri, costruita proprio sull’apice della collina.
Nella parte alta si vede uno dei muri della chiesa, realizzato con la tipica tecnica costruttiva delle chiese romaniche dei nostri territori.
Procedendo con lo scavo, è arrivata anche la conferma dei racconti dei paesani: in tutta l’area della chiesa sono presenti varie sepolture.
Nonostante la chiesa fosse piccola, trovandosi su una strada percorsa da pellegrini in viaggio verso la Francigena, era molto transitata. Anche in questo
caso la conferma viene proprio dai ritrovamenti: monetine lucchesi, fiorentine, pisane e senesi ritrovate durante lo scavo.
Dalla posizione delle ossa, si è dedotto che le tombe siano state aperte e utilizzate più volte, come spesso accade.
La parte interna della chiesa, lungo i muri perimetrali, era considerata privilegiata, dedicata alle persone di rango più alto.

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